L’avaro

Un tale non ha mai concluso nulla, pur essendo straordinariamente intelligente e ricco di talento. Il fatto è che, essendo orfano sin dall’adolescenza, ha sempre vivacchiato delle mediocri rendite prodotte dalla sua eredità, restando fuori dalla vita e coltivando solo i suoi interessi: la letteratura e le belle arti. Ad un certo punto lo tormenta il pensiero di sprecare i suoi anni migliori. Perché mai non è riuscito ad inserirsi nel mondo neppure in quella misura minimale che tutti i suoi conoscenti meno dotati hanno raggiunto? Pur non misconoscendo la bontà del suo disgusto per la maggior parte delle professioni utili, e la sua avversione orgogliosa per ogni forma di servizio, il tale riflette sul fatto che avrebbe almeno potuto sforzarsi di scrivere un romanzo, o un saggio filosofico, o di creare opere d’arte, o di produrre qualcos’altro di dignitosamente superfluo e non-servizievole, avendo tempo e mezzi a disposizione. Un giorno decide di andare da uno psicoanalista per capire. Ma non appena si stende sul lettino lo sovrasta il pensiero che con il denaro sborsato mensilmente al suo servizievole psicoanalista potrebbe vivere assai bene in una villa coloniale a Cuba, con una meravigliosa vista sull’oceano e la compagnia dolce e non servizievole delle stelle del cielo tropicale. Sì, forse il suo talento è tale che non ha bisogno di produrre un’opera. Forse appartiene ad un genere di uomo superiore, più evoluto rispetto ai produttori del passato. Forse anche l’opera è un servizio, e il creatore un servo. Ora è tutto chiaro: lui è il vero superuomo, colui che può semplicemente distrarsi, e assaporare la sua distrazione come un’arte, solo perché è così che vuole. È guarito. Esce dallo studio dello psicoanalista e compra un biglietto per Cuba, per partire immediatamente. E la gioia per essersi liberato dello psicoanalista e per la partenza è tale che, girato l’angolo, decide di non partire, di restituire il biglietto, e di tornarsene a casa.



    





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