L’urlo di ricino

Una fanciulla, molto romantica ma poverissima di mondo, si risveglia un mattino scoprendo con orrore di avere una zecca annidata nel naso. La zecca ha succhiato abbastanza sangue da gonfiarsi completamente, e ostruire del tutto la narice destra della poverina. Impossibile tirarla via con delle pinzette senza che il corpo si spezzi e la testa rimanga conficcata nella narice. Impossibile bruciarla senza bruciare anche la narice. La fanciulla, disperata, ha ormai deciso di andare in ospedale – a rischio di farsi schernire da qualche infermiere del pronto soccorso per la sua scarsa igiene nasale –, quand’ecco che un meraviglioso principe compare misteriosamente nella sua stanzetta, porgendole un fazzoletto di lino bianco. La fanciulla, incredula, si soffia delicatamente il naso, e, come per miracolo, quando controlla il contenuto del fazzoletto, vi scopre la zecca, che sgambetta supina, pingue e maligna, in una lacrima di sangue misto a muco trasparente. La fanciulla abbraccia il principe e lo bacia sulle labbra, e i due trascorrono il resto della giornata torturando la zecca con un ago d’oro arroventato, finché la bestiaccia, coperta di ustioni, muore di dolore. Allora i due giovani decidono di festeggiare la loro vendetta sulla zecca sposandosi in una chiesetta sul mare.
Ma era solo un sogno.
La zecca si risveglia con un urlo.
Al solito posto.
Proprio sotto l’ano infantile del cavallo bianco del principe.
E la fanciulla sentimentale ma poverissima di mondo decide di abortire all’ospedale pubblico «Jakob von Uexküll».



    





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