GIOCATTOLI PER MALINCONICI


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UN CASO DI FETICISMO UTOPISTICO I

Prospettiva generale: ogni feticismo ha in sé un elemento utopico. L’aura perduta della grande opera balugina negli occhi di vetro del feticcio. Il feticcio ricambia lo sguardo di chi osserva, raddoppiandolo da un non-luogo che è lo scarto tra diversi livelli di immagini: l’oggetto presente, lo spettatore, l’oggetto assente.
È noto: il fallo assente può trovare il suo ricettacolo in qualsiasi cosa (scarpa, cappellino, parrucca, fiocco, grembiulino da cucina bianco etc.), perché non è da nessuna parte mentre si manifesta; si nasconde mostrandosi, si rende presente rimanendo assente, e viceversa.
Qui l’idea è che anche la creatura, vagamente fallica, sia un feticcio – un’egregora eriglena! – che guarda lo spettatore mentre questi si riflette sulla sua superficie lucida.
Mentre si riflette, lo spettatore vede sé e non l’oggetto, che in questo modo è là ma non è là – è là ma è anche in un altrove, da cui guarda lo spettatore con occhi di vetro.
Non posso guardare contemporaneamente me, la mia immagine riflessa, e la creatura. O l’una o l’altra immagine. Se mi vedo riflesso, perdo la creatura: è lei che mi guarda. Se guardo la creatura, perdo la mia immagine riflessa.
La creatura ha comunque un vantaggio: un vantaggio non solo gestaltico (la stucchevole lepre/anatra di Jastrow/Wittgenstein), ma più generalmente immaginale. Ha quattro occhi, del resto. Due sono più piccoli, perché – come la parola-feticcio di Kraus – tanto più lontani quanto più ci si avvicina.
Il feticismo utopistico massimo è ovviamente quello della gravidanza plurigemellare. La mammina si rispecchia in specchi-figli-falli che sono l’uno lo specchio dell’altro. Allo stesso tempo non li vede, perché sono dentro il suo corpo, che è il non-luogo. Quando può vederli l’incanto si rompe.
Un caso di feticismo utopistico II contiene 5 embrioni – e tutti visibili.



(2001)
Bronzo lucidato; occhi di vetro dipinti
22 cm (h) x 11 cm x 12 cm
Fonderia Anselmi (Roma)