Kuniyoshi

«Si dirà che io, il pittore Kuniyoshi, non ero un essere particolarmente significativo – come del resto quasi ogni creatura che mette in scena la sua vita in questo mondo. Ma dobbiamo prestar fede ai miei contemporanei, che mi descrivono addirittura come un puro, incolore nulla, come un’ombra impalpabile, come un pallido riflesso d’uomo, come un fantasma? Dobbiamo insomma fermarci al pregiudizio, all’apparenza, al pettegolezzo secondo cui la mia vita era così insulsa e incapace di dire alcunché di particolare da poter essere assimilata a qualsiasi altra vita, da scomparire in qualsiasi altra possibile esistenza come una sorta di centro insostanziale? O non sarà invece il caso di comprendere meglio il mio particolare talento? Non dovremo affermare, in altri termini, che la mia apparente insulsaggine, la mia trasparenza assoluta non fossero altro che la diretta conseguenza della mia estrema vocazione spettrale?
Non ero forse uno spettro costretto a vivere nel mondo?».
Assolutamente no.
«Ma vivevo effettivamente in un mondo spettrale. E soprattutto trascinavo nel mio sistema lunare spettrale tutto quello che si avvicinava alla sfera di attrazione della mia orbita. Io stesso non potevo evitare di riconoscere come tutto quello che toccavo diventasse d’un colpo spettrale e inconsistente, quasi non fosse mai stato altro che questo: eterna spettrale inconsistenza.
Ero un enigma immediato per i miei conoscenti. Non solo perché tutto ciò che toccavo diventava all’istante e da sempre spettrale e inconsistente, ma soprattutto perché nessuno sapeva dire e avrebbe mai saputo dire, nel tempo, in cosa consistesse questa spettralità immediata ed eterna, che pure era perfettamente, immediatamente evidente a me e a tutti gli altri. Enigma immediato, si diceva. Enigma immediatamente evidente, ma anche e so-prattutto – se i due aspetti fossero distinguibili, e non lo sono – enigma della assoluta evidenza, enigma dell’evidenza dell’enigma che sfocia nell’enigma di tutto ciò che è evidente, che irradia enigmaticità su ogni immediatezza. Al lettore goloso di immagini, al filosofo, dirò: era come se la circolarità dell’eternità immediata – l’esser già da sempre eterno dell’immediato e l’esser già da sempre immediato dell’eterno – si propagasse attraverso ogni cosa nello spazio e nel tempo al pari di un onda enigmatica, o come se ogni evento diventasse sasso infinitamente pesante lanciato nello stagno dell’immediatezza, producendo attorno al suo infinito affondare cerchi di cristallina enigmaticità.
Si noterà: questo stesso racconto, che ha la mia persona come centro, non si rivela già ad una prima lettura – immediatamente: ammesso che venga mai letto da qualcuno che non sia uno spettro e non abbia dunque bisogno di alcuna prima lettura – come solo tangente alla mia persona? E poiché si sarà costretti a rispondere affermativamente a questa domanda, si sarà anche costretti ad ammettere che, senza una sostanziale diversità e allo stesso tempo con la più radicale differenza, lo stesso concetto potrebbe venire espresso anche così: il solo fatto di avermi toccato di sfuggita rende questo racconto spettrale e inconsistente. E con ciò si sarà posto immediatamente l’enigma se l’esser questo racconto in contatto con la mia persona solo in forma di vaga tangente sia una conseguenza o una causa. Questo racconto, si intende dire, è tangente alla mia persona perché la mia persona non può che trasformarlo in spettrale simulacro di me, e quindi in linea che solo lo sfiora, oppure è questo racconto che, essendomi tangente, lo trasforma in vago fantasma?
Dilemma immediato e doppiamente insolubile.
Poiché questo racconto non è altro che la fedele trascrizione della mia autobiografia – lo spettrale lettore lo avrà compreso sin dall’inesistente inizio di entrambi, racconto e spettrale lettore – anche l’ambiguità da cui siamo partiti si riduce in effetti ad una spettrale identi-tà – come del resto avviene nel caso di ogni autobiografia rispettabile.
E allora questo racconto rende al meglio la mia natura, si dirà. Sicché, si replicherà, esso non è affatto spettrale e inconsistente, ma solido e vero.
Ma per la stessa ragione – ovvero per la ragione opposta – , si obietterà, questo racconto non esprime bene la natura spettrale della mia persona, che sarebbe bene espressa solo mettendola in opera, o in scena, spettralmente. Dunque, si dirà: questo racconto è solo un pallido, inconsistente spettro della mia vita spettrale, in quanto è esattamente l’opposto di questa vita, e in fondo solo una sua spettrale – in quanto troppo solida – eco.
E allora, ancora una volta, non si potrà evitare di notare: se questo racconto è solo un pallido, inconsistente spettro della mia vita spettrale, toccando la mia persona come la tan-gente il suo arco, esso rende perfettamente la spettralità della mia esistenza, mettendola in opera in un punto infinitamente piccolo che si prolunga in due infiniti.
Impossibile uscire, si dirà, da questo doppio infinito scacco.
E in questo doppio, infinito e circolare scacco, racconto riuscito se fallito e fallito se riuscito, questo racconto, che non racconta propriamente nulla, si dirà, mette in opera la spettralità indicibile della mia persona in forma di (ogni possibile) autobiografia».



  





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